venerdì 30 ottobre 2009

Libertà vo' cercando...

Non aver mai pubblicato Saadat Hasan Manto, se mi si concede la licenza di una esagerazione, dovrebbe pesare sulla coscienza degli editori italiani come una colpa grave, ora fortunatamente emendata da una casa editrice indipendente che ne ha fatto il suo libro d'esordio (curiosamente, si chiamano Fuorilinea: www.fuorilinea.it).
Conobbi Manto qualche anno fa, consigliato da un amico indiano. Feci fatica a credere alle sue parole, che mi parlavano di uno dei maestri mondiali del genere short story: come mai un simile portento era ignoto non solo a me, ma a tutti i bibliofili che conoscevo? Lo scetticismo me lo sono dovuto rimangiare tutto in un boccone pochi giorni fa, dopo aver divorato in due giorni tutti i racconti di questa selezione. Tragico, sorridente, cinico, ghignante, sornione, Manto sta sempre dietro (e spesso dentro) a ciò che narra, con il suo carattere ingombrante e il suo sorriso bonario. Da vero narratore, non ha bisogno di enunciare tesi: fa parlare le sue storie, e ''Se trovate che i miei racconti siano osceni, è la societa' in cui vivete a esserlo. Con i miei racconti, io mi limito ad esporre la verita''. C’è tutto Manto in questa affermazione: l’uomo libero di mente che nacque indiano e musulmano, nel 1912, e morì pakistano e alcolista a poco più di quarant’anni. La cesura artificiale che tagliò via il Pakistan dall’India – la Partizione - divenne per la sua anima la frattura dolorosa dalla quale scaturì però la fonte della sua ispirazione più autentica: i suoi sono racconti di persone comuni, contadini, perfino matti nel bellissimo “Toba Tek Singh”, che non comprendono la logica – questa sì, davvero folle – della separazione dall’amico di ieri, dell’odio nazionalistico e del fanatismo religioso; non la comprendono eppure vi soccombono, proprio come in ogni tempo, compreso il nostro, gli inconsapevoli sono spesso vittime (e strumenti, o addirittura complici) di progetti che necessariamente li travolgono. Ma c’è anche molto altro, nel mondo di Manto: Bombay, esagerata allora come sempre, con il suo sottobosco di prostitute, magnaccia, perdigiorno, attori scombinati e lo stesso Manto, che a Bombay è giornalista, critico, scrittore di teatro e di cinema e, infine, protagonista e comprimario delle storie che racconta. Più volte processato per oscenità, e non sempre assolto, dopo la forzata emigrazione in Pakistan per proteggere la famiglia dalle rappresaglie degli Indù cedette all’alcol, che lo portò alla tomba. Non aspettatevi di leggere denunce vibranti o intemerate contro il potere: Manto non era un moralista, era un uomo che lucidamente vedeva e lucidamente descriveva. Fatti, persone e anime. Ha scritto storie sincere, prima ancora che belle. Per la sua libertà interiore ha pagato un prezzo alto, e chissà se ha finalmente avuto risposta alla domanda che volle come suo epitaffio: “Here lies Saadat Hasan Manto. With him lie buried all the arts and mysteries of short-story writing… Under tons of earth he lies, wondering who of the two is the greater short-story writer: God or he”.

venerdì 2 ottobre 2009

Re Carlo tornava dalla guerra...


Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra
cingendolo d'allor;

al sol della calda primavera
lampeggia l'armatura
del sire vincitor

il sangue del principe del Moro
arrossano il cimiero
d'identico color

ma più che del corpo le ferite
da Carlo son sentite
le bramosie d'amor

vi ricorda nessuno?
Ma andiamo avanti:

"se ansia di gloria e sete d'onore
spegne la guerra al vincitore
non ti concede un momento per fare all'amore

chi poi impone alla sposa soave di castità
la cintura in me grave
in battaglia può correre il rischio di perder la chiave"

così si lamenta il Re cristiano
s'inchina intorno il grano
gli son corona i fior

lo specchi di chiara fontanella
riflette fiero in sella
dei Mori il vincitor

Quand'ecco nell'acqua si compone
mirabile visione
il simbolo d'amor

nel folto di lunghe trecce bionde
il seno si confonde
ignudo in pieno sol

Mai non fu vista cosa più bella
mai io non colsi siffatta pulzella
disse Re Carlo scendendo veloce di sella

"De' cavaliere non v'accostate
già d'altri è gaudio quel che cercate
ad altra più facile fonte la sete calmate"

Sorpreso da un dire sì deciso
sentendosi deriso
Re Carlo s'arrestò

ma più dell'onor poté il digiuno
fremente l'elmo bruno
il sire si levò

codesta era l'arma sua segreta
da Carlo spesso usata
in gran difficoltà

alla donna apparve un gran nasone
e un volto da caprone
ma era sua maestà

lasciamo da parte la maestà, che in queste lande piuttosto bisogna parlare di satrapi (e in effetti non vedo nessuno della statura Carlo Martello). Il canovaccio, comunque, resta valido: un signore potente, una signora piacente.

"Se voi non foste il mio sovrano"
Carlo si sfila il pesante spadone
"non celerei il disio di fuggirvi lontano,

ma poiché siete il mio signore"
Carlo si toglie l'intero gabbione
"debbo concedermi spoglia ad ogni pudore"

Cavaliere egli era assai valente
ed anche in quel frangente
d'onor si ricoprì

anche qui… a Carlo non serviva il viagra e men che mai le punture sul pisello… Vabbè, possiamo sempre pensare che la sua prestanza fosse dovuta alle arti oscure di qualche negromante.

e giunto alla fin della tenzone
incerto sull'arcione
tentò di risalir

veloce lo arpiona la pulzella
repente la parcella
presenta al suo signor

"Beh proprio perché voi siete il sire
fan cinquemila lire
è un prezzo di favor"

"E' mai possibile o porco di un cane
che le avventure in codesto reame
debban risolversi tutte con grandi puttane,

Anche adesso Carlo fa un figura leggermente migliore rispetto a Silvio: lui, almeno, non lo sapeva davvero che la signora era ben che avvezza a un certo tipo di concessioni.
Il seguito dell’avventura, però, annulla ogni distanza. Di secoli e di stile.

anche sul prezzo c'è poi da ridire
ben mi ricordo che pria di partire
v'eran tariffe inferiori alle tremila lire"

Il re tira sul prezzo...

Ciò detto agì da gran cialtrone
con balzo da leone
in sella si lanciò

frustando il cavallo come un ciuco
fra i glicini e il sambuco
il Re si dileguò

Alla fine – incredibile! – si dà alla fuga senza pagare, come un cialtrone qualsiasi. Come Silvio, che promette alla D’Addario di interessarsi della sua concessione edilizia e di candidarla alle europee, e alla fine la lascia con niente in mano.

Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra
cingendolo d'allor

al sol della calda primavera
lampeggia l'armatura
del sire vincitor.

L’armatura di Carlo alla fine risplenderà comunque: è stato un puttaniere vigliacco, ma un grande re. Secondo certa dottrina gesuitica va assolto, ha fatto bene il suo mestiere. Ma Silvio? Che ne sarà del povero Silvio al cospetto della Storia, quando di lui resterà soltanto il ciarpame? Unica consolazione: non ha la statura perché la sua memoria possa durare mille anni. Presto la sua triste era uscirà anche dai libri di scuola, e finalmente – se non noi – i posteri almeno potranno dimenticarlo.
Comunque, la canzone è bellissima: è di De André, non so se semplicemente ispirata dalla poetica dello chansonnier francese George Brassens, o addirittura scritta da lui e poi tradotta in italiano da Fabrizio. La mia cultura musicale, ahimè, lascia molto a desiderare. Chi la volesse ascoltare può cliccare qui sotto:

giovedì 1 ottobre 2009

Facciamoci scudo


Lo scudo fiscale che consente di riportare in Italia i capitali guadagnati criminosamente ed esportati illegalmente al prezzo misero del 5% e con la copertura dell’anonimato è una presa per il culo alla nazione. Chi ha misure simili (si fa per dire) impone tassazioni superiori al 50% (fino al 100% della Francia) e la pubblica notorietà degli evasori.
Sacrosanta la protesta delle opposizioni? Forse. Diciamo sacrosanta quella di chi a votare contro lo scudo fiscale ci è andato. Strumentale quella di quei partiti (PD e UDC) che hanno fatto mancare il 25% dei loro onorevoli al momento di votare gli emendamenti cruciali, salvando un decreto che poteva essere messo sotto (la maggioranza, alla fine, è stata di una cinquantina di voti, per cui chi non c’era ha davvero fatto la differenza).
Questa è la notizia.
Ne seguono una domanda e una constatazione. La constatazione è che questa notizia non è esistita sui maggiori quotidiani: l’ho pescata sul Manifesto e su qualche giornale di destra che l’ha giustamente usata per coprire di fango la sinistra. La domanda è: come sarà mai possibile liberare questo paese, se il 25% dell'opposizione (e parecchi cronisti parlamentari degli stessi giornali che il nano alfa definisce "farabutti") è a libro paga del capo della maggioranza?

martedì 29 settembre 2009

Lost in woods

Ma insomma, non interessa a nessuno sapere come è andata a finire l’avventurosa corsa del Gattopuzzo nei boschi di Sua Maestà Elizabeth?
E io ve lo dico lo stesso. Con una notizia buona, almeno per me, che già avrete intuito: scrivo, ergo sum (vivo)! E non sto nemmeno granché acciaccato… Ah, le infinite risorse della stirpe dei gattopuzzi, ormai ridotti ad un solo esemplare eccetera eccetera. Del resto, com’è che recita la presentazione del GPZ in questo blog? "[…] Il Gattopuzzo è un animale un po' puzzola e un po' faina, una creatura dei boschi che si è urbanizzata. Uno spirito vagabondo […]. Sa mimetizzarsi molto bene nell'ambiente urbano, ma in fondo all'anima rimane uno spirito selvatico".
E allora c’era da aspettarselo, che nella selva lo spirito silvestre che muove il Gattopuzzo lo avrebbe preservato e conservato.
Lo stesso non vale per Mustafà, che in realtà si chiama Feisal e non è libanese ma arabo di Ryad.
Mustafà-Feisal, che è alto e in evidente soprappeso, fuma un pacchetto abbondante di sigarette al giorno, beve come un cammello e tutte le mattine si presentava al corso con non meno di due ore di ritardo, gli occhi rossi, la barba lunga e l’aspetto molto stropicciato. Cosa facesse la notte, in quel posto desolato e remoto, per me è un mistero. Io in realtà non avevo fatto molto caso a queste sue abitudini, diciamo così, un po’ in contrasto con l’immagine dell’atleta che pretendeva di essere. Però le abitudini sono subito saltate fuori a presentargli il conto, perché non abbiamo fatto in tempo ad imboccare la via del bosco che ho cominciato a sentire, alle mie spalle, un ansimare come di mantice sfiatato. Io andavo piano per due motivi, il primo essendo che la finlandese è spirito caritatevole e, avendo capito con chi aveva a che fare, aveva rinunciato all’allenamento veloce, e il secondo che io, veloce, proprio non sarei stato capace di andare. Andavo piano, sì, ma Feisal sembrava lo stesso che stesse faticando a trattenere l’anima tra i denti. Uno si immagina un orgoglioso osservante fedele musulmano mondo dalle zozzerie che ti minano il fisico, così come prescrive Mohamed (sempre sia gloria al nome suo), e invece questo qui era tutto intossicato e grigio in faccia e pure quando sudava dava l’idea di star secernendo qualcosa di malsano. Fatto un mezzo chilometro, la più che caritatevole Mareit decide per una sosta, con la scusa di dover decidere che direzione prendere. Con il senso dell’orientamento che contraddistingue la razza dei Gattopuzzi (ormai limitati nella speciazione ad un solo esemplare eccetera), io sentenzio che it’s late, and if we don’t want to stay too long in the woods we should go left, because that path is clearly a small ring that will lead us back to the hotel. Ottenuto il consenso generale, prendiamo quindi a sinistra ormai camminando, la maratona boschiva trasformata in passeggiata da casa di riposo per non ammazzare anzitempo il probo suddito di re Fahd. L’orgoglio dell’Islam continuava però a dare segni di imminente soffocamento, per cui, non volendo dannarci in eterno provocando la prematura ascesa in cielo di un probabile futuro santo imam, procedevamo con andatura da ottuagenari, fingendo di essere incantati e rapiti dalla bellezza dei paesaggi per non metterlo troppo a disagio. E i paesaggi belli lo erano davvero: castagni, querce , faggi, tutti i colori dell’autunno, le sfumature dal giallo al rosso acceso, un silenzio cosmico interrotto solo da cinguetti e fruscii di foglie smosse nel sottobosco da una quantità stupefacente di leprotti che si aggiravano indisturbati in quel paradiso silvestre. E ogni tanto qualche casetta qua e una là che non solo non davano nessun fastidio, ma parevano quelle degli hobbit e avevi l’impressione che se bussavi si sarebbe affacciato Bilbo Baggins ad offrirti una fetta smisurata di torta di mele.

E invece non c’era anima viva, dal che si arguiva che ad abitare quelle dimore dovevano essere gli sfuggenti elfi, che senza dubbio ci stavano osservando nascosti sotto il nostro naso eppure invisibili alla gente grossolana come noi (la gente grossa, ci chiamano loro). Perso nelle fantasticherie, ogni tanto il fischio allarmante che scaturiva dai polmoni di Feisal mi riportava alla realtà, non essendoci nell’epopea del Signore degli Anelli alcun treno a cui attribuire un siffatto suono, così da poterlo inglobare nella mia fantasia. Oddio, volendo ci sarebbero stati i draghi, ma quelli mi avrebbero rovinato la pace interiore che lo spettacolo della natura mi ispirava, e avevo deciso di far finta che non esistessero (far finta… esistessero… anche il mio stato mentale non doveva essere proprio del tutto alieno da alterazioni).
Fantastica che ti fantastica, seguivamo quasi in silenzio questo public footpath le cui indicazioni erano un intrico di frecce che puntavano pressoché ovunque: a destra, a sinistra, a destra e sinistra insieme e una perfino verso l’alto, prova evidente che il footpath era stato in effetti pensato per essere percorso anche a dorso di drago. Specie della quale due cuccioli (ma forse erano orchetti) in forma di molossi si sono festosamente parati davanti ai nostri occhi quando, non si quando non si sa come, ci siamo ritrovati a calcare la morbida erbetta del giardino di una villa, deserta pure quella.
Segue la scena della nostra precipitosa e velocissima retromarcia, con momentanea incuria delle condizioni di salute del sublime principe del regno di Saud. Di nuovo ci ritroviamo nel bosco, e di nuovo attraversiamo il borghetto degli hobbit, altro non sapendo fare se non tornare indietro. Il buio avanza e si sa, in quelle lande la notte uno può incontrare le Mortombre e chissà quali altre creature demoniache, per cui non è prudente (e soprattutto è scomodo) decidere di passare la notte nei boschi, al freddo, a digiuno e senza materasso quando un paio di chilometri più in là – solo a sapere dove, porca putt… - c’è l’albergo che ti serve la pappa, il sidro e ti fa dormire sotto le calde coperte dopo una corroborante doccia. Alla fine Mareit ha l’illuminazione, e decide di bussare alla porta di una delle casette. Al che, non so perché, la scena mi è cambiata e al posto del Signore degli Anelli mi sono ritrovato nel mondo di Hansel e Gretel, improvvisamente certo che quella casetta fosse di marzapane e ne sarebbe uscita una vecchina che era in realtà una perfida strega che si era già mangiata tutti i vicini di casa, il che spiegherebbe perché lì intorno c’erano tante case, ma non anima viva.
E invece, dopo una lunga attesa, ne è uscito un signore inglese, ma di un inglese che voi non avete idea. Non sto nemmeno a descriverlo: pensate a un inglese, non uno qualsiasi ma l’ur – inglese, l’archetipo, l’idea platonica di inglese, e quello era lui. Che, molto, gentilmente, ci ha fatto presente che: 1) avevamo scelto il sentiero sbagliato, perché se volevamo tornare in albergo dovevamo prendere a destra, non a sinistra, e 2) avevamo fatto talmente tanta strada in quel bosco che a tornare indietro ci avremmo messo non meno di una mezz’ora abbondante, col buio che avanzava.
E così è stato: uscimmo a riveder le stelle, per dirla con il Poeta, quando le stelle in cielo c’erano quasi per davvero, dopo due ore di vagabondaggio silvestre, con il povero Feisal ormai incapace perfino di lamentarsi e talmente grigio in faccia da essergli passata pure la voglia di fumare.
La sera, al bar, dopo una cena abbondante, l’ho trovato con in mano una bottiglia di sidro e - ovviamente! - una sigaretta in bocca, felice come uno scampato da Pearl Harbour, e quando gli ho fatto - Feisal, if we want to go again tomorrow, it may be better if you smoke less - lui mi fa - No, no… the problem, today, was that I am a little tired… you know, the jet lag…
Ma un buon musulmano, oltre che dal bere e dal fumare, non dovrebbe astenersi anche dalle cazzate?

martedì 22 settembre 2009

Il talento del Gattopuzzo

Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che il Gatopuzzo aveva varcato le patrie frontiere, per cui capirete che non senza trepidazione ho intrapreso questa nuova trasferta in terra di Albione.
Tre anni fa il bilancio fu insuperabile, tra gag piu' o meno (in)volontarie e duelli rusticani all'ultimo bicchiere di cabernet col professore di finanza; anche l'anno scorso non ando' male, con la corsa dei kart (adegutamente documentata qui) e dieci giorni di uscite a teatro e cene di gala, con la corsa delle scimmie a fare da gran finale. Stavolta l'uscita si e' presentata subito in tono minore: invece che a Londra, mi hanno spedito in questa amena campagna inglese tanto poetica, piena solo di silenzi e di fruscii di fronde, di cinguettii e di squittii, di boschi folti che a inoltrarsi un po' uno pensa di poter incontrare Gandalf e con lui tutta la Compagnia dell'Anello. Insomma, Wotton House: una specie di carcere soft dove, finite le ore di lezione, uno davvero rischia il suicidio per noia. Figuratevi che per la disperazione oggi pomeriggio mi sono messo le scarpe da ginnastica e, contravvenendo alla regola aurea a cui ho consacrato quarantaquattro anni di orgogliosa sedentarieta', sono andato a correre tra sentieri, prati e boschi.
E qui ho avuto la prova che la classe, davvero, non e' acqua, e il talento del Gattopuzzo per i guai puo' al massimo appennicarsi, ma eclissarsi giammai.
Uscendo dalla corte della dimora che potete ammirare in foto
e che ci ospita, intravedo la signora finlandese che segue il corso insieme a me in tenuta analoga alla mia ma piu' figa, e da tutt'altra parte indirizzata: alzo il braccio in segno di saluto e la abbandono ai sentieri suoi. Avevo gia' avuto modo di incontrarla ieri sera, sempre bardata per il cimento podistico, mentre io meno pretenziosamente passeggiavo per prati e boschi e rientravo precipitosamente all'apparire minaccioso e ululante di un pastore tedesco e altri due orchi (di razza non identificata per eccesso di velocita' di fuga). Avevo avuto modo di ammirare l'incedere fiacco della madama, nonche' la brevita' della performance, che mi aveva fatto gonogolare al pensiero di non essere l'unico a pretendere di chiamare jogging quel penoso trascinarsi in giro in mutandoni.
Schivati i cani, a cena me la ritrovo accanto.
- Hi Maurizio, I saw you going out for jogging, before dinner...
- Oh, yes... I had a very pleasant trip between fieds and woods, it was wonderful (se e' detto bene non lo so, ma questo e' l'inglese che parlo io e questo le ho detto. E comunque lei ha capito).
- I ran in the courtyard, instead... I had fear to go alone in the woods... But it was so boring running in a ring...
E qui che poteva combinare il Gattopuzzo? Per generosita', certo... E un po' per vanagloria, ma diciamole queste cose: - Oh, Maria, don't worry... If you want, tomorrow we can go together!
- Really? You are very kind! At six o'clock?
- At six o'clock.
- I am very happy about this, you know, I have to respect my training program, otherwise I will not be allowed to run my next Marathon....
Gelo per la schiena: - Marathon?
- Oh, yes, next month, in Helsinki, I will run with my team, We do it every year!
- (tra me e me) ma porca puttana, va bene che me la sono andata a cercare, ma proprio una maratoneta mi doveva capitare? A me, che se corro mezz'ora di fila gia' grido al miracolo... But... Maria, yersterday I saw you running very, very slow...
- Yes, it is a part of my training program, but don't worry, tomorrow I will start the new part, in which I have to run very very fast!
- (Ah, allora... )
E mentre sacramentavo in sanscrito, ecco che si aggiunge il libanese, li', come minchia si chiama, vabbe', facciamo Mustafa': - wonderful! I am used to run every day! May I come with you?
E all'unisono, ma con espressioni opposte (uno afflitto, l'altra esultante), io e Maria: - of course, Mustafa', of course!... (il punto esclamativo e' della finlandese, i puntini sono miei).
E adesso eccomi qui, come Galois la notte prima del duello, a scrivere febbrilmente affinche' resti di me quello che ho fatto, quello che ho pensato... E chissa' perche' a me non viene fuori una emerita ceppa, mentre quello li' scrisse un trattato di matematica superiore in una notte, prima di accomiatarsi da questa valle di lacrime per opera di un marito geloso, o forse dei servizi segreti, insomma almeno in modo romantico, cosa che non tocchera' a me, precocemente stroncato da due podisti forsennati in mezzo ai boschi inglesi, lontano da casa, dalla mia cucciolotta con tutti gli annessi e connessi... Ma non vi fa un po' pena il Gattopuzzo? E pero', se contro ogni pronostico avessi a sopravvivere, me lo fate il favore di rintuzzarmi, da oggi in poi, ogni volta che faccio pipi' fuori dal vasino?

martedì 15 settembre 2009

Chi va a casa di chi

Questo avvenimento dice tutto sulla carità pelosa di quanti hanno voluto dare alla guerra in Iraq la patina nobile dell’abbattimento del tiranno. La gratitudine di quel popolo per il nostro intervento non richiesto si può misurare dai festeggiamenti che riservano a uno che il nostro commander in chief lo prese a scarpate.
Si è trattato di una guerra di invasione che ha fatto centinaia di migliaia di morti iracheni (quanti, precisamente, non lo sapremo mai), ha reso quel paese un campo di battaglia tra opposte fazioni estremiste, ha prodotto tortura e dolore, ha distrutto i reperti della civiltà più antica di cui si abbia memoria storica e ci ha attirato addosso l’odio furibondo di qualche miliardo di esseri umani che hanno idee parecchio diverse dalle nostre su come (loro) dovrebbero condurre le proprie vite e i propri affari di governo, e non gradiscono che si sia noi a pretendere non solo di dirgli cosa è bene, ma addirittura di imporglielo.
Questo odio ha permesso a personaggi sinistri e macabri di affermarsi un po’ ovunque nel mondo islamico, per lo stesso meccanismo che ha portato qui da noi alle vittorie elettorali di Bush: se l’Altro (loro per noi, noi per loro) è cattivo, allora dobbiamo farci guidare da uno più cattivo di lui. Eventualmente dando un’aggiustatina ai risultati elettorali, se non sono proprio favorevoli. Ahmadinejad? E perché, Bush che fece con Gore? Solo che il primo è un tiranno, del secondo dire questo pare non sia lecito. Mah.
Adesso che la balla dell’esportazione della democrazia non è più spendibile, dato che l’unica cosa che abbiamo esportato è stata la vergogna delle torture e un numero di morti ammazzati infinitamente superiore anche agli stupefacenti record di Saddam; adesso che nessuno può più permettersi di raccontare cazzate su cosa siamo veramente andati a fare laggiù - tutti e non solo gli americani, perché Nassirya non è solo il posto del martirio di quei poverini che ci hanno lasciato le penne, è soprattutto il suolo sotto cui stanno gli idrocarburi acquistati dall’ENI; adesso che delle famose (ma soprattutto fumose) armi di distruzione di massa non è stato trovato nemmeno un flacone di virus del raffreddore; adesso che tutto questo è acquisito, lo sappiamo, è alle spalle, non resta più nessuna scusa a chi si ostina a difendere questa follia. Mi disturba parecchio vedere che in realtà questa gente non ne ha nessun bisogno: candidi, ammettono che sì, probabilmente andare laggiù è stato un errore, ma mica perché era sbagliato in linea di principio; no, anzi, l’idea era giusta ma il problema sono loro, gli iracheni e gli arabi in generale, animali ottusi e riottosi come muli recalcitranti che non hanno saputo apprezzare nulla delle meraviglie che gli avevamo graziosamente recato in dono. Perle ai porci, questa gente meglio lasciarla a casa sua e farli scannare tra loro, e anzi chiudiamoci pure noi dentro casa nostra e se provano ad avvicinarsi lasciamoli affondare in mare, o diamoli in pasto a Gheddafi, che è come loro e sa come trattarli. Salvo però andarci, noi da loro, a prenderci il petrolio. Con quattro soldi quando va bene, con la forza quando conviene.